E Tu Cosa Vendi?
L
I nostri lupi sbadigliano a gabbia aperta […]”
Wislawa Szymborska
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[…] Parlo correttamente il greco
e non soltanto con i vivi.
Guido l’automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
Odo voci,
non meno di autorevoli santi.
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ossia da sola.
Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.
Non ho difficoltà
a respirare sott’acqua.
Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.
Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
Sono, anche se non dovrei esserlo,
una figlia del secolo.
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l’altro ieri un pinguino.
Con la massima chiarezza.”
Wislawa Szymborska
E TU COSA VENDI?
Come ti salvo l’economia italiana.
Tre volte al giorno trotto davanti ad una fabbrica, gli operai la occupano con mansueto, cocciuto broncio per evitare il licenziamento.
E’ già passato un giorno, due giorni, un mese, tre mesi, sei, sette, dieci mesi, sono sempre là, mentre io biciclo davanti con la mia gonna in tweed. Non li guardo, ma li vedo: giocano a pincanello, guardano la TV messa sulla strada, fanno striscioni con scritto: “Mille famiglie a spasso!”.
Hanno forti intenzioni, pensiero attivo, forza vitale alcuni, altri sono comparse, come li chiamano nel cinema, fonti di energia non sfruttate, che produrrebbero dieci mila chilowatt al giorno da poter rivendere come elettricità in bottiglia ai francesi.
Quello che conduce la rivolta sembra un presidente peruviano, calcola i turni, dirige le operazioni, come il capo degli eunuchi nella Battaglia dell’Harem.
Eppure c’è lavoro! Nessuno, per esempio, mi oblitera mai il biglietto in treno, forse per questa delicatissima operazione assumono solo specialisti, sforacchiatori professionali.
Quando rientro dallo sgobbo, passo davanti a questi uomini dai muscoli rilassati, con occhi da orecchie di cocker, a combustione lenta, invece che a fuoco continuo: hanno l’umore più basso della voce di Tancredi Pasero. Non ve li consiglierei, Signorine, per i vostri spostamenti in campagna.
E’ un peccato, è una bestemmia ed è, anche, un reato! In nome della legge li arresterei proprio perché non infrangono la libertà.
Avete in dotazione tutto, giusto? Non vi manca nulla, rigiusto? Quindi fratello, discuti pure tra te e te la proposta e accettala all’unanimità, poi prenditi per mano e portati a casa, dove ci sarà di sicuro una giacchetta e una cravatta, quella che hai usato per il matrimonio della cugina Vittoria e vai, infine, nella prima ditta di un prodotto che ti piace e glielo vendi.
Sì, ho detto proprio questo: vai a vendere! Vai a vendere qualsiasi cosa, caramelle molli, la macchina che arrotola la carta moschicida, un magnifico prodotto dei poeti ardenti, l’accendisigari a pedale, ma vai!
Cosa dici? Non sei capace? Parli poco? Sei timido? Bene, tutto ciò sarà usato per vendere. L’imbranataggine, per esempio, intenerisce, la timidezza accende l’aria d’allegria. Il segreto è non nascondere una debolezza, ma esaltarla. Incontrerai gente di cui non conoscerai mai i loro effimeri nomi, ma ti daranno un fracco di fiducia, altrimenti detta denaro, avrai, anche, tempo, che, come sai, è altro denaro.
E anche se tu fossi senza la minima capacità di piacere, ripugnante, fastidioso, sgradevole e sgraziato, sappi che c’è uno zoccolo duro, il 20 per cento, che ti dirà sempre di sì. Semplicemente perché non sa dire no.
La ditta, sono sicura, ti presterà anche il furgoncino ai fianchi del quale ci saranno vistose scritte che decantano i meriti di quello che proponi.
Dopo un mese avrai già dei soldi solidi e potrai alla sera andare a teatro con la tua Sissignora, anzi potrai farlo direttamente, se ti va, magnifiche interpretazioni come la parte del secondo lattaio muto del terzo atto della Bohème.
Comprendi caro caduco di trent-quarant-cinquant’anni? I canuti scuoteranno la testa con un sfarfallio di forfora come nelle bocce con la neve.
Avete paura? Paura di raggiungere l’indipendenza, di non piacere, paura a guidare l’auto nelle ore d’ufficio come se si fosse in vacanza, paura di stare solo, paura che ti piaccia?
L’economia sarà salvata dai venditori! E con questo ho già finito la lezione di macro-analisi comparata sulla gestione delle risorse! Tremonti è bravo, ma odioso, dovrebbe dire semplicemente dalle sei reti unificate: “Ho bisogno di te!, sì di te, perché vorrei comprarmi un paio di pantaloni, i miei sono una ragnatela, e se tu fai lavorare l’azienda di pantaloni, io troverò i pantaloni sullo scaffale e potrò nascondere quella pochezza che non fa gola a nessuna femmina.”
Se penso, invece, alla sua voce patetica che appioppa complessi d’inferiorità declamando versi alessandrini di economia, il bleso! La massa per forza si ribella e tira fuori materiale plebeo come un “Vaffa’!”.
Signori, dovete sentirvi sempre e ovunque delle rocce, sentirvi primogeniti di King-Kong, non dovete permettere alla vita di trattarvi da buco da svuotare!
Con due principali e ventitré subordinate, spiffero, ora, la tua appiccicosa, spiacevole vita: finito il finto lavoro di giorno, la sera, se non attacchi con “Ridammi il colapasta!” con la moglie, l’enorme successo che ci è arrivato dall’oltralpe, sei a bere whisky a un prezzo che farebbe venire l’infarto ad uno scozzese, in un locale con la musica alta per rincitrullire i villici usciti dai fienili e con in parte un’escort alta un metro ottanta, piena di Swarovski che brillano talmente che i gioielli della regina d’Inghilterra all’apertura del Parlamento sembrano cosine pescate in una bustina a sorpresa, che si chiama probabilmente Florida o Ernestina, tagliata giù come la campionessa del mondo di lotta greco-romana e che possiede l’organo (voce) di un basso dei cori russi, tu, seduto su un seggiolone alto come quello di un arbitro da tennis, dicendole che sei un parrucchiere per far colpo e che il bigodino va prima bagnato o almeno messo nel tuorlo d’uovo, avrai l’impressione, sbagliata, di essere iniziato ai misteri della vita. Prendete pure una scodella d’aria.
Ricordo il Cicciolooone, l’Uomosodo, quando gli ho detto che lo volevo con me, sì proprio lui, uno che ha un sorriso di venticinque centimetri, un forno per pizze da sei, le guance come le natiche di Olio e gli occhi come quelli di Stanlio (ho conoscenti più presentabili). Ed egli a me dirotti: “E’ per via di che ragione di cosa?” la sua voce, ragazzi, è come quando si stura un lavabo, anche perché era ancora sbronzo dalla nottata alla lap dance. Si è afflosciato su una sedia inadatta a ricevere una tale valanga di carne: “Stanotte sono stato fregato dal rum che ho bevuto per mandar giù il brut che sapeva di tappo”, sembrava un tenore con la bocca piena di melassa. Io che conosco la vita, ho schiantato sul nascere ogni confidenza, sarà sempre nei miei ricordi perché mi fa ridere, sarò sempre nei suoi ricordi perché l’ho fatto piangere: “Se avessi tempo di fare un viaggio ti abbraccerei, Maschiotto, perché lo so che sei un povero sbandato, mutilato nel cranio, deforme nell’addome, ma nel giro di due quarti d’ora, ti darò la tua dignità. Bambolo, non devi aver paura della fortuna quando si presenta tutta timida, da sola nella tua vita sotto forma di una bella ragazza (sic). La fortuna vuole essere presa, altrimenti diventa una leonessa dell’Uganda che ingoia il suo domatore”. Roba dura da comprendere per lui, lo so, ma lo faccio solo per tenermi in esercizio. Appena gli ho spiegato che lavoro avrebbe fatto, l’ho visto scuotersi come un cane bagnato e le sue vecchie idee sono volate via. All’improvviso il futuro gli è diventato limpido come l’acqua di fonte: ha visto quel che c’è da fare e il preciso modo in cui farlo.
E’ la felicità, quella, fratelli.
Vi racconterò una storia.
Tanto tempo fa è nata una bambina. Nessuno aveva voglia di averla, praticamente un intralcio. Non aveva né mamma, né papà e naturalmente, neanche nonni, nonne, zii e i fratelli. Ma per sopravvivere doveva avere quello che hanno i bambini che dormono beati.
Nuda dentro, muta fuori, non gridava aiuto aiuto perché tutto ciò che fa colare febbre dagli occhi invece che lacrime, avviene in silenzio.
Malata come un cane che non mangia da quaranta giorni, la morte avrebbe attaccato all’alba, si vedeva già il suo occhio di lupo in fondo al tunnel. E come i neonati nell’esperimento di Rousseau accuditi senza calore, tecnicamente a posto, che piano piano mollavano la presa, si stava spegnendo.
Un bambino non ha paura di morire, vi spiegherò, la morte è un’astrazione, ha paura della vita che, se non è a norma, se non è regolare, se non ha i requisiti, morde cattiva fino a che non te ne vai, è come resistere ad un sadico. La vita per sua vocazione alla vita, espelle chi non è adatto a vivere, si sbriga con un drastico aborto spontaneo.
Inoltre vi dirò una sottigliezza macabra che nessun psichiatra infantile sa: un bambino, oltre che incassare colpi dal malvagio, non pensa di star morendo, pensa che stia morendo il mondo attorno. La luce non brilla più come prima, la mano che dà da mangiare non è la stessa di ieri, non avvengono le cose alla stessa ora e ci si sente molto offesi che non venga più nessuno.
Quel giorno, però, è venuta una signora viziata che cercava qualcosa da portare a casa con cui giocare.
Nella tremula duenne nessuno sapeva calcolare quanta vita ci fosse ancora lì dentro, la sua morte era imprevedibile e, come a quel gioco in cui la scopa rimane in mano a chi non la molla in tempo, nessuno la voleva più.
Quella donna era la sua ultima possibilità. L’ha guardata là in alto, l’ha guardata seria, un intero minuto, era la sua ultima lotta, il sadico la stava frantumando, sul confine ha guardato la signora con tutta la sua forza, doveva afferrare l’inafferrabile, in silenzio urlava di salvarla guardandola con i suoi occhi diventati enormi e profondi, scolpiti dalla febbre.
Ha dovuto lottare contro tutti la donna, ma se l’è portata via quella figlia che non le assomigliava, con gli occhi pieni di incanto e disperazione, forse già cadavere.
Ancora adesso, che è molto vecchia, se le parli, racconta di quello sguardo che l’ha sconvolta e che, senza pace, continua a riprodursi all’infinito.
E’ stata una vendita, una vendita selvatica per procacciarsi la vita, una bambina ha venduto della merce in cambio di altra merce. Ha venduto un’emozione, un’emozione contro il tempo di riflettere, contro la ragione: un’onda contro una logica contraria, ha buttato uno sguardo abbagliante, pieno di febbre per salvarsi.
Ma anche a scuola, anche dal salumiere, anche dal dentista, anche con la moglie, con i figli, vendiamo roba.
Vendiamo sempre e sempre la nostra faccia, vendiamo emozioni, vendiamo sogni, vendiamo atti immateriali, commozioni cerebrali, turbamenti interni per cose lontane. Ancora adesso mi stupisco sempre di trovare chi compra dando molti, tanti, parecchi soldi, guardando semplicemente nei miei occhi, che ridono dolcemente.
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