Felicità e fedeltà?

 

 

 

Felicità & Fedeltà S.p.A.

Vi ricordate quando vi siete sposati?

Ricordate l’ultima doccia da single, il termostato su un 35 duro da incassare, guanto di crine, lo splendore del nuovo, l’energica spazzolata di denti e se eri donna la tosatrice Braun e se eri uomo prebarba Pincopallino… siamo stati talmente scintillanti che il Re Sole al confronto era un’eclissi di luna.

Ci è venuta per un attimo un’infinita nostalgia che è quella di esserci traditi da per noi: sapevamo che stavamo tradendoci, che era irresponsabilità, quella, una forma incolpevole di libertà.

Magari quella mattina abbiamo chiamato l’altro per avere la caparra, perché un freddo liquido, losco, di stomaco ci prendeva: la paura.

A tutti i matrimoni siamo sempre circondati da occhi lacrimosi di vacche infelici, gente che ignora la sua disgrazia non avendo conosciuto la minima felicità. L’infelicità la vediamo nei matrimoni e niente è più esplicito, è un avviso scritto in caratteri da manifesto. Un condannato a morte, lo svegli e gli dici: ” Il tuo ricorso è stato respinto!” Tradotto: ” Ora ti uccideremo”.

Lo ami, ma preghi che venga un tifone a salvarti.

Nella casa nuova sedici lampade, trentasei pinzette per il ghiaccio…

Lo sapete che cosa mette paura? Cadere nel ridicolo. Il ridicolo messo a serietà.

Il prete, per esempio, è, come minimo, al millesimo matrimonio che alla fine si rompe come una scarpa vecchia, la sua voce amministrativa denota nessuna fiducia, ha un ronzio di un calabrone sulle vetrate della chiesa.

Al mio matrimonio era apparsa una suora grassoccia dietro al prelato, come quelle tizie che voltano le pagine ai virtuosi. Due belle poltrone di velluto in mezzo, proprio davanti al tavolo dell’altare, grande come il banco di un bar.

C’è chi si vanta di aver fatto dire due volte la domanda al prelato, io no, io ho detto sì spontaneamente, troppo spontaneamente. E’ stato più forte di me, è dura liberarsi dai riflessi incondizionati, amici. Le abitudini ti si appiccicano nella mente come il cioccolato sulla dentiera di tua nonna.

Fosse stato Mike Buongiorno a farmi quella domanda, un professionista, vabbé, avrei delle attenuanti, ma quel brav’uomo del prete, meno subdolo di un politico, non tentava certo di farmi imboscate.

Sarà che siamo sempre pieni di sondaggi: “E’ importante la salute? Le piace viaggiare? E’ proprio suo questo numero di telefono?” occorrono una decina di sì per vendere a uno.

I preti fanno raccolte di sì.

E così si parte come due sciatori d’acqua, e dopo sapienti arabeschi, invece di ritornare paralleli, pum!, l’esplosione di una testata, si litiga. Da allora un mostruoso domino. Non si ha ancora finito di pronunciare la “i” che cadono a pioggia le prime pedine. Un soffio di maestrale. La vera disgrazia sapete qual è? E’ che è un soffio. Molto peggio del rumore, ragazzi! Il rumore punteggia, allarma, allerta, scandisce; il soffio, invece, ci rotola, ci svuota, rivolta, sollazza, dall’ora in poi.

E’ la vita che calunnia*: dal greco Kai-eo, chiamare, invocare, ingannare.

Eccoli gli sposati come sotto a un grande lampadario staccato dal soffitto. Drogati dal nulla. Accidenti! Se penso che devo spiegarvi questo concetto! Dove incominciare? Dài Samuela rimbocca le maniche della tua tastiera.

Incrociare due personalità che si amano e che amano altrettanto la loro libertà, è già patologico e occorre una cura con ricetta.

Con il tempo ci si confonde tra i propri desideri e gli altrui, tra doveri e piaceri, tra strattoni e scontri e incontri…

Che pasticcio, zio Bortolo! Un disastro.

Ci sono anche feriti (ferite emotive), rovina, fumo. Alla fine tutti reclamano le seguenti cose: la mamma, l’ambulanza, la riduzione delle imposte, la luna.

Finché un giorno davanti a noi sposati c’è il nulla. E il resto dell’amore? Non resta più nulla del resto dell’amore.  Non resta nulla dei suoi resti.

In compenso giriamo perforati in mille parti, stranamente morti dentro. I pompieri non potranno pompierarci, i lettighieri non potranno lettigarci e i giornalisti giornalano a tutto spiano che la famiglia è morta. Ma va?

Insomma un triste bilancio, come dicono nella cronaca del lunedì.

Vedi quelli che ancora si tengono forte e l’atmosfera è tesa da matti, quelli in agonia e quelli morti, ma che dopo tre anni, alcuni sono risorti.

In fondo, fratellini, siamo tutti nello stesso coro, è un lungo Nabucco funebre di grandezza mondiale la famiglia.

Alla prima occasione ci scappa la carneficina, si sarebbero risparmiati i soldi dall’avvocato, uccidendosi prima.

Casus belli: quasi sempre i soldi, ma è un pretesto, sembra realistico da matti. Siamo stati mutilati, in municipio, tutti noi falliti a fare la separazione. Ho visto in un asmatico ascensore discendente un mio coetaneo azzannato dalla moglie: sembrava diventato il guardiano del cimitero, le tasche stracciate come due orecchie d’elefante, il naso a fragola marcia raccontava delle birre che beveva… Da ragazzi mi aveva corteggiato. Per fortuna che gli ho detto di no. Era domenica pomeriggio, ricordo. Io la domenica pomeriggio dico sempre di no a tutti quelli che mi chiedono qualcosa.

Racconto bene le disgrazie umane, vero? Non sono per niente sfaticata. La Manzoni dei poveri, la ragazza. Dante casereccio, l’unica differenza tra me e Gothe è che io sono bresciana.

Al rinfresco, stavo dicendo, bocche-mani-baci! Una marmellata di parole! Cespugli di mani! Felicitazioni! Felicità! Congratulazioni! Che bella coppia, sembrate due attori… Vuoi scommerci che ci credevano a quello che dicevano? Ci credevo anch’io! Ci credevamo tutti! Che stolti!

Appena ho potuto ho buttato via il velo come lo scafandro di un palombaro.

 

*La calunnia è un venticello

Un’auretta assai gentile

Che insensibile sottile

Leggermente dolcemente

Incomincia a sussurar

Piano piano, terra terra

Sottovoce sibilando

Va scorrendo, va ronzando

Nelle orecchie della gente

S’introduce destramente

E le teste e i cervelli

Fa stordire e fa gonfiar.

Dalla bocca fuori uscendo

Lo schiamazzo va crescendo:

Prende forza a poco a poco,

Scorre già di loco in loco

Sembra il tuono, la tempesta

che nel sen della foresta

Va fischiando, brontolando

E ti fa d’orror gelar.

Alla fin trabocca e scoppia,

Si propaga e si raddoppia

E produce un’esplosione

Come un colpo di cannone.

Un tremuoto, un temporale

Un tumulto generale

Che fa l’aria rimbombar.

E il meschino calunniato

Avvilito, calpestato

Sotto il pubblico flagello

Per gran sorte va a crepar.

Rossini – Il Barbiere di Siviglia

 

Per i commenti: samuelasalvotti@gmail.com

 

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