Cavalcare la vita.
Bisogna avere coraggio. Perché in genere le situazioni sono più delicate che disperate. Infatti se uno è fine d’udito e attentissimo risolverà le comuni tragedie con sconcertante facilità.
Ho conosciuto un uomo che aveva una specie di rogna sulla pelle, da quando era bambino. Da adulto evitava gli esseri umani, portava vestiti a manica lunga, ha sposato una donna sgradevole e rozza perché – mi disse- nessun’altra si era mai avvicinata a lui. Naturalmente aveva provato inutilmente tutti i preparati dei dermatologi. All’età di 50 mi ha incontrato. E io candida come una colomba gli ho detto: “Prova a metterti la cara, buona Nivea. Si proprio quella delle nostre nonne. Ho nella retina dall’infanzia la scatola tonda e blu. Prova, oh figlio del nostro secolo!” La finezza dell’ascolto, l’attenzione al mondo lo ha premiato: poco meno di non molto, si è trovato una pelle liscia e lucida come il sederino di un bambino. Ora è pazzo di gioia. Penso che tradisca la moglie.
Oppure un’altra storia è quella di una che ha avuto un’otite per quarant’anni, perché dormiva su un cuscino sbagliato. L’orecchio chiede solo di spurgarsi alla notte e se lo tappi si arrabbia molto.
Pensate, anche, a chi muore d’ansia o di depressione. Un giorno sente una parola, detta a caso da quelle inutili signore sempre in crisi che fanno ayurvedica, yoga, costellazioni, angeli e similari, (un pasticcio di religiosità personalizzata). Quella parola che salva è: meditazione. Quella vera, quella pura, quella antica, quella in silenzio, quella che ti fa vedere la tua espressione da idiota e ti viene pure da ridere.
E quelli che si ammalano perché non si sono accorti che un cibo faceva a loro male? Ho visto gente morire con il frigo pieno di pizze surgelate. Per molti mangiare è un apostolato. Il loro misticismo, la loro filosofia, il loro divenire è mangiare, la loro beata e beota ragion d’essere. Le vetrate delle cattedrali dovrebbero raffigurare piatti di crauti e cosciotti di pollo più che i soliti cristi appesi se si volesse davvero fare proseliti.
“Il sabato sera devo andare in discoteca”, davvero? Molti pensano che la felicità sia quello che fanno gli altri, non saranno tutti stupidi, no? Se lo fanno tutti è perché ci hanno ragionato, giusto? E quindi arrivano in tanti, se non tutti, come montoni, fanno la coda per entrare a Desenzano la domenica mattina e la coda per uscire da Desenzano la domenica sera. Anche avere gli amici sui social, drogarsi, ballare, fare feste di beneficenza con le baronesse, strafogarsi, viaggiare, far festa… insomma pare felicità invece inseguono tristezze.
Attenzione al prossimo passaggio logico conseguenziale: la felicità è solo fare il meglio per noi in ogni attimo e si concretizza con il ridere. Questa è una chicca che offro al mondo senza ricompense.
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