Sempre sul coraggio.
Ho conosciuto un boia americano che abitava a Londra. E’ un uomo di mezza età con una faccia da ragioniere e occhi miopi.
Ve lo descrivo: sembra uno che sia stato nutrito a yogurt. Quando l’ho conosciuto mi ha porto una mano molle come cinquecento grammi di fegato di vitello, gli ho stretto quel coso nauseante che lui ha poi fatto ricadere sulle cosce sconsolato. Io sono abituata ai colleghi che mi scrollano il braccio come la leva di una pompa. Ha una bella fronte in materia plastica color avorio perfetta come piscina delle mosche tanto è sempre sudata.
Voi immaginate questo signore slittare compunto e anonimo in una mostruosa spugna qual è Londra, in cui ci si sente dei microbi nel polmone di un pleuritico. A Londra c’è una nebbia più densa che nei film di Orson Welles. Aghiforme e smilzo, cammina come un robot. Ha una macchina nera quadrata come un pacchetto di zucchero, ma che è molto piacevole viverci dentro. Alla sera rincasa nel suo miniappartamento, tutto pulito, ammobiliato con grazia, ma senza anima. Staccato dai beni del mondo, accende la radio dove suonano solo le cornamuse. Vivacchia in attesa della telefonata. Prenderà un volo, poi, e via a uccidere. Penso che sia andato anche a salutare il Papa, vestito di bianco, uguale a lui.
Ecco questo sarebbe stata per me l’idea di un romanzo se avessi il coraggio di andare avanti su questa storia.
E’ il coraggio che manca! Occorre coraggio anche a inventare storie, a inventare balle, stando sempre nella realtà emozionale. Occorre sempre coraggio in tutto per andare in fondo. In un fondo a più non posso o piuttosto a non posso di più. Il fondo deve essere l’unico orizzonte. E se guardate bene nel fondo ci sono lastre avvitate bordo a bordo su dei longheroni. Se si riesce a svitare una di esse, (non c’è bisogno di farvi un disegno, credo) ecco si va sotto a vedere il magico mondo dell’Essenza.
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