Un romanzo diverso.
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Gli scrittori giganti sono spesso senza la minima nota vivace (Doninelli docet), sono così arrivati che non ci si domanda più se sono bravi oppure no, sono piazzati fuori criterium. Forse sono stati scrittori dalla nascita, forse non hanno mai baciato una donna in chiesa, mangiato un panino sotto la pioggia, né contemplato un tramonto in una barchetta tremolante, forse neanche annusato un fiore proni senza strapparlo.
Ci sono persone inespugnabili, venute al mondo per descriverlo a loro immagine. Li conosco bene i grandi scrittori, li ho inseguiti per anni, innamorata di alcuni o solo per far loro una domanda. E li trovavo scialbi, un tantino gobbi alcuni e io avevo la sensazione di comparire davanti a un’Alta Corte. Sono gente che trasuda una indifferenza malinconica, quella degli onnipotenti. Sono seri. Sono barbari, delicatamente barbari. In genere. E quando mi rivolgono la parola non sfumano le parole. Le parole cadono dalle labbra come fossero scolpite nel marmo. E il mio ruolo era quello della piccola contadina con il mento sul petto e i mignoli sull’orlo della gonna.
Finché mi sono stufata della loro sufficienza, del loro sprezzo. E se mi capiterà di vedere un Grande, un grasso Doninelli, (che non mi saluta nonostante eravamo in Comunione e Liberazione) non troverà un’ossequiosa, una melliflua, una gatta che fa le fusa.
Frequento, ora, solo quelli come me, quelli che hanno negli occhi lampi di sorpresa, che poi diventa interesse, insomma occhi lucidati dalla candeggina della poesia, pregiata merce.

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