I “senza pietà”
Voi lo sapete, amici, ed io lo so.
Anche i versi somigliano alle bolle
di sapone; una sale e un’altra no.”
Saba
Il lutto, qualsiasi lutto, diventa più leggero se lo si capisce e, a parte quello Grande, è sempre razionalmente spiegabile. Io sono in lutto, amici, un minuscolo lutto, ma pur sempre lutto.
Cercherò di capire, quindi, coloro che nella mia vita mi hanno perseguitato, quasi sempre al vedermi, nei primi cinque secondi di presentazione: erano sicuri che io peccassi più di tutti, forse perché sorrido, barra rido, barra derido. Molti signori seri si uniscono tra loro e cercano di buttare fuori corpi diversi. Esempi ce ne sono tanti. Volete che vi parli di Mary Poppins, di Lutero, di Bagnasco, di Gandhi…?
Quando stavano distribuendo la Pietas, questi signori erano barricati nei cessi, evidentemente, per mancarne tanto e talmente.
Uno di questi, e scelgo la strada più difficile, è Gandhi, la “grande anima”, colui che ha piegato il mondo senza far spargere una goccia di sangue. Bravo, bene, bello!
Certo con lui non sono morti milioni di indiani, certo!, ma, ditemi, dov’è il dialogo, dov’è la maturità in un uomo che ‘tiene il broncio’? Avete presente quei bambini che incrociano le braccia e non vogliono mangiare la pappa se i grandi non obbediscono? Ecco! Ditemi, dov’è la crescita?
E’ violenza, ragazzi, una banalissima violenza, quando uno impone la sua volontà senza dialogo, facendo un ricatto, si chiama violenza. Sono l’unica a dirlo, ma per me egli non era il padre della non violenza, ma il padre di una nuova violenza.
Soffriva e faceva soffrire. Il mio esatto opposto: davanti al dolore nonostante il freno a mano, scivolo indietro, taglio tutte le corde e mi dico, succinta, ciò che segue: azionare le manovre di recupero di me stessa! Dal mio posto posso vederlo ( il dolore), come tu vedi questo monitor, ma non ci entro.
Ci sono esseri che fin da bambini hanno avuto un addestramento psicologico di prim’ordine, sono atti a sopportare ogni dolore, puoi smontargli i denti a martellate, castrarli, leggergli Bevilacqua, essi sono attrezzati alle peggiori sofferenze, alle più atroci torture della vita, i superstoici, come se la loro carne non esistesse.
Gandhi imponeva a se stesso, alla moglie e ai figli di pulire i gabinetti dei lebbrosi. Suo figlio, quello grande, ha guardato suo padre, così compiaciuto del dolore, così sgradevole, così magro, così autopunitivo, così autoflagellante, senza una goccia di sorriso, di pietà per sé e per gli altri e ha cambiato religione, è diventato musulmano.
Ora leggete come la gente è cattiva: si sono incontrati dopo vent’anni, il padre non lo salutò, non lo volle vedere, non lo volle mai più vedere e non lo perdonò mai: l’aveva ripudiato, l’odio era troppo immenso e assolutamente irreversibile.
Io non riesco a frequentare i magrissimi, perché se uno è troppo magro è per tre ragioni: o è ammalato, e molto grave, o non ama mangiare, che è peggio, e, terzo, è magro chi si corrode con pensieri di perfezione: ha un solo ideale di vita e vuole piegare se stesso e il mondo a questo ideale, se non ci riesce, e non ci riuscirà, si corroderà dentro di ira, smagrendosi, consumandosi, consuntendosi. Un’ira repressa, notate bene, perché nel loro ideale non esiste la rabbia, quella sana, verbale, potente e liberante.
Ragazzi, non sposate mai quelle troppo magre, quelle che hanno già le rughe a vent’anni, quelle vitree, lividi e verdi.
Ragazzi, passerete la vita a far la pipì seduti sul water, entrare in casa sarà superare una linea ad alta tensione che ciondola a terra, si sbarazzeranno tutti gli appetiti sbarazzini, non ti ricorderai più com’è una risata di pancia e inizierai a dire bugie per tranquillizzare il mostro interno di una moglie perfezionista.
Quando entro in certe case di Austere è come entrare in una vecchia balera, come in un film di René Clair, il film più triste che abbia mai visto. Finisce con due vecchie signore che ballano assieme, signore “captive” con cui non riusciresti neanche ad essere cortese. Sono nella paraletteratura.
E’ un’arte calibrare la rabbia, è come se i nostri babbi ci avessero regalato un coltello elvetico da mettere in funzione nei casi difficili. Alcuni sono a lama unica, alcuni bilama, trilama, fino all’enorme degli enormi, di cento lame, uno che potrebbe fare da una laparatomia a rifare una seconda Tour Eiffel, sostituisce un’officina meccanica. Loro hanno quello, io, invece, ho quello variegato, quello che ha il decapsulatore, le forbici, la lima, il punteruolo… l’essenziale per la difesa e i piaceri, via!
Lo uso con dolcezza sul lavoro: le persone sono viti da svitare, ci sono le docili e le indocili, le docili cedono cortesemente a una leggera pressione ed eccole a me ben dritte, simili e minuscole ballerine, le altre occorre più forza. Ma tutte vengone meco.
Con una testa che lavora la vita diventa piana, coerente, semplice, tutti ti si adattano. Con le idee confuse la vita diventa difficile, fratelloni.
Abbiamo un bel litaurgicare* (* abbiamo chiesto il significato del neologismo litargicare e/o liturgicare, impiegato in maniera, secondo noi, anarchica in questo articolo. Samuela ci ha detto che dovevamo andarci a far un bel bagno. Abbiamo seguito il suo consiglio. L’editore e il traduttore), la coerenza rende indistruttibili. Se l’espressione vi è piaciuta, conservatela in ricordo di me.
Un altro esempio, è Peppino1° Englaro. Questo forsennato, questo epuratore di disabili sta castigando con i suoi avvocati chi, come me, non era d’accordo.
Ma anche un don Bosco, che nel suo ultimo giorno di vita, ringraziò Dio per non avergli mai fatto perdere una messa e per non avergli fatto “conoscere” una donna.
Voi sapete che conservo su di me, in permanenza, la dolcezza, verso tutti, dalle prostiputtane, agli scherzatori col fuoco, ma il danno che subisco con i Severisti mi fa perdere la pac-enza.
Prenderei sotto la mia tutela questi tetri, gotici, stoici eroi e farei a loro un discorso sobrio, ma massiccio: “Signori, sono la vostra nuova comandate. Intendo essere obbedita al millesimo di secondo. Vi garantisco che alla fine del viaggio con me scoprirete la cum-passione, la pietas, la misere-cordia e similari” e li porterei a ridere come bambini stupidini, mangiare come porcellotti e a peccare di buoni peccati innocui.
Si è nel peccato, dicono. Il peccato è l’atto d’agire, quindi sta nel pensiero di chi dice peccato. Nessuno pecca. Molti sono nella disonestà intellettuale.
Gandhi e gli altri che si velano con il dolore, altrui sia mai, dicono qualcosa che è inventato: l’umano sarebbe dolore.
C’è differenza tra agire e comportarsi: Gandhi si comportava, non agiva mai; stava nudo tra i suoi ma non era mai nudo.
E per lui le donne sempre a pulire cessi devono stare, mica sapeva nulla delle donne. Le caste erano eterne.
Solo una immagine vuota si può adorare: l’apparire dietro cui nulla c’è, l’apparire fattuale. Così lo adorano e ne fanno un mito, UN SANTO, non un SACRO.
Fanatismo della idea, così si comporta la religione: allora si nasconde dietro un cumulo di pietre l’immagine scolpita di un buddha perché fa una paura micidiale. Qualcuno gli spara contro e la distrugge: s’illude che scompaia. E così facendo la segna di più, dentro di sé il suo mostro prende forza e lo distrugge, nichilismo della religione.
Non te ne puoi andare dal pensiero, abito mentale, distorto da secoli di violenza, non te ne puoi andare.
Mario Ettore Passero
Oh, Mario Ettore Passero, abbiamo distrutto un mito, te ne rendi conto? Samuela Chiara Salvotti.
Meno male che di miti non ne ho mai avuti, Samuela, altrimenti me li avresti fatti perdere. Bisognerebbe che tutti imparassero a fare a meno di miti e di eroi e a fare più affidamento sulle proprie forze.
Naturalmente quello senza miti ero io, Anzi un mito l’avevo, quello della letteratura; ma ora sto cominciando a liberarmi anche di quello.