IL CIELO E’ DEI VIOLENTI*(*O’Connor) (choc, brutalità, violenza, comicità, orrore)

IL CIELO E’ DEI VIOLENTI*(*O’Connor) (choc, brutalità, violenza, comicità, orrore)

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Il titolo di questo post è un omaggio a O’ Connor, scrittrice cattolicissima, che utilizza senza vergogna la parola “violenza”, piuttosto che “forza” o “coraggio”, nel riferirsi ai veri  sostenitori della fede.


Lettera di un titolare di un’azienda come teste.

 

 

 

A chi di dovere.

 

 

 

Esimi Signori,

conosco la signora Salvotti dall’estate del 2008. Lavora per me da quattro anni. E’ una persona seria, riflessiva, affidabile e riservata. E’ diventata l’elemento migliore della mia azienda formata di 200 collaboratori.

 

 

Probabilmente la Salvotti vive il lusso di essere se stessa, c’è assenza di sforzo in lei, ama il suo destino, ha fiducia nella sua natura, si stanca, certo, lavorando, ma non sta peggio, come gli altri, fa rifornimento in un lontano Bed and Breakfast di pace.

 

 

Dentro al nostro mondo maschile e, devo ammettere, maschilistico in cui lavora è un’anatra in uno stagno. Il suo andare verso le PER(= a favore) SONAM (= suono) è un andare oltre il linguaggio, dice, che è l’unico modo per uscire dalle regole.

 

Il male, dice, è, spesso, l’unico bene possibile”, e lo dice per discolpare i deboli che non possono scegliere.

 

Ho cercato di darle un gruppo da gestire. Ma nel nostro ambito molti elementi sono al limite della sopravvivenza nonostante fashion victim e con bolidi in leasing. Mi racconta che non vuole avere deboli sulla sua strada. Conosce bene la tecnica, quella in cui appena ci si conosce il Debole racconta alla sua vittima i suoi guai. I problemi dell’altro diventeranno anche suoi, alla fine. Il vero Debole, dice la Salvotti, sgrida l’altro prima di chiedergli qualcosa e poi, conseguenza automatica, il debole diventa presto cattivo, malvagio: deve tradire chi lo aiuta, prima o poi. Non lo fa per allegria, tradisce per rivalsa, per risarcirsi.

 

 

Forse per questo è spesso accompagnata da un uomo impulsivo di grossa corporatura, che bramisce contro tutti, un omaccione di cento chili, cordiale come una mitragliatrice appaiata.

 

 

Il lunedì mattina in ufficio si pianta nell’inquadratura della porta e perdona con difficoltà ai suoi colleghi di esistere. Si scosta per lasciarli entrare, uno a uno, e, come un antropofago, se li mangia senza cuocerli. Camminano tutti davanti a questo pachiderma e tremano come se avessero trascorso l’ week-end in una cella frigorifera, perché è un tormentatore, un chiacchierone, come sedici pappagalli in una sala d’aspetto. Sfotte piantando il suo sguardo d’acciaio brunito col cappellaccio spinto dietro la zucca: “Ehi, tortorella, te la sei fatta la tua tipa, eh? Hai la faccia devastata dall’amore, gli occhi pendono sulle gote e sotto ai suddetti borse da contrabbando all’ingrosso di tabacco.Vivi il grande incantesimo, perché poi verranno le serate noiose, i fine settimana penosi. Le verdure di stagione saranno gli asparagi in scatola. Arriveranno i mocciosi con il morbillo. Su raccontaci, ho sempre avuto paura di morire di curiosità!” Dice tutto questo in una sola espirazione. In una sola transizione sventra verbi, squarcia dignità, sferza l’orgoglio.

 

 

Anche stamattina con la ragazza del call center, passata come un fantasma dietro la vetrata: “Oh, visione dantesca, gialla come una mela cotogna, magra come ‘na lisca di sogliola, capelli strinati, l’occhio che casca, la bocca a colpo di roncola! Da labbra secche vengono baci esili, ricordatevelo! Dovrebbe rimpinzarsi di calorie la smilza per incontrare il suo manganellatore e scordare le miserie. Deve fare uno sport internazionale, semplice, pratico e elegante, senza bisogno di equipaggiamento e che calma i nervi”, un rush di frasi, può fare dieci minuti e venti secondi senza ossigeno.

 

 

La Salvotti ha un fifometro, invece, tarato all’estremo opposto, lo attacca con gli occhi sfavillanti e lui non fiata: nessun pateravegloria, Signori, anzi, per quel che ne so, è il suo punching-bul: “Grossume, stoppa il cd che hai già fatto il tuo numero. Quand’è che vai in pensione per invalidità, eh Grosso?” e agli altri: “Ragazzi, con un cialtrone del genere non è il caso di farsi precedere da una scatola di cioccolatini. Se non gli date il vostro elettrochoc tascabile questo non crolla, bambini! Strati di choc successivi finché tronca la favella: è un uomo che quando parla è più una sirena d’allarme che un mormorio di fonte!”

 

Sono una banda: i “noi”, contro un’altra banda: “gli altri”. Il capitano della prima è lei, il numero 10, quella con la fascia, quella che fa il cross, sempre nella Champions Light e sotto le forti luci di San Siro. L’altro elemento della banda è il parcheggiatore, lui. Il motto della banda è: “Al mondo esistono solo eroi e coppie: noi non siamo una coppia”.

 

 

Gli spara forte: “Prima di parlare con me, Uomo, devi riempire la scheda dei permessi”, gli saettano gli occhi e si vede che lo irrita, che è arrabbiata, la sua antipatia sconfina con la repulsione. Diventa rossa, virata al viola, un gambero cotto, un incendio che cammina, bisogna usare gli occhiali da sole per guardarla. Ma più lei si accanisce, più lui si raddolcisce: è felice di riconoscere la sua specie, forse addirittura chi è più forte di lui.

 

 

Si divertono a parlare di cibo. Tutti immaginano lui con i suoi trenta chili di testa di cinghialetto in un trogolo, invece è un vero esperto, cucina delicato. Niente sanguinaccio di maiale al burro, ma pesce con un filo d’olio crudo. Lei a sentirlo sui cibi diventa radiosa come una giornata d’estate dipinta da Van Gogh. So che alla vigilia di Natale lui le ha fatto una cena raffinatissima. Si era pure rasato davanti al calendario delle poste, mi ha raccontato. Aveva sulle guance sfregi rossi e per fermare l’emoraggia ci aveva schiaffato sopra cartine da sigaretta, sembrava una mummia che non avessero finito di sballare. Alla fine della cena si è acceso la sigaretta bruciandosi le sopracciglia e i peli del naso.

 

 

II loro dialoghi sono surreali: “Vorrei un caffè!” “E’ fattibile, donna”, “Con quel naso schiacciato e le orecchie a cavolfiore… sei sicuro di non aver fatto un incidente in moto da piccolo?” “Trinchiamo?” Lui allo sterminio completo degli esseri umani, lei all’urgente suo viaggio verso la salvezza eterna. Si salutano militarmente.

 

 

Il cielo è dei violenti, dice O’ Connor e ha ragione: metà non ha niente da dire, l’altra metà si ripete, è la reciproca viltà negli occhi appassiti degli umani! I deboli sono freddi, amano morire, se ne vanno. Vi sono suicidi invisibili, dice. Alcuni rimangono in vita per pura diplomazia, bevendo, mangiando, camminando. Gli altri ci cascano sempre, ma loro lo sanno, con un riso interno, che gli altri si sbagliano, sanno che sono morti. E non lasciano traccia come pioggia.

 

 

Solo i violenti, i forti, i tumultuosi, anime di cemento e ferro, senza maglie di lana, figli di un dio selvaggio, vivono a modo loro, qui sulla terra. Passeggiando tra la folla, le persone selvatiche, violente, inaddomesticabili, come quelle vicine a morire, si riconoscono come carabinieri in borghese.

 

 

Va la Procacciatrice a procacciare.

 

 

Preferisce lavorare da sola, soprattutto ora che è la prima in classifica: vince un’auto se supera i colleghi. Va con la sua valigetta va in certe corti dei miracoli tra case marce, nere, fetide. Case composte da una stanza con una tenda in mezzo, da una parte la cucina e dall’altra la camera. Il cesso è collettivo e escono ancora da sistemarsi, lo fanno apposta: fa intimo. Tra bimbi sporchi, uomini sbronzi e donne spettinate.

 

 

Ma va anche in sale di hotel vertiginosi con Apriportieri vestiti blu-orizzonte. Va da medici, notai, avvocati, uomini politici.

 

 

Va in case con alte mura e vasche poco profonde in cui gorgoglia roba romantica, case abitate da gente con la bocca più verticale che orizzontale.

 

 

Me la immagino questa piccola con la mano sul cuore come fanno a teatro per mostrare quanto uno è afflitto quando ascolta i racconti sui reumi. E domanda, domanda, domanda: “Chi domanda, comanda”, un forcipe, credetemi. Il mondo è dei violenti, ma non dei cattivi (captivus= prigionieri), dice.

 

 

E, Signori, credetemi non è una solida matrona, non è una virago, dall’espressione ostile, come la mia segretaria, che mangia sui campionari e col cuore sensibile come la pelle degli elefanti. Lei arriva in bicicletta, si toglie i guanti con la punta dei denti e ride già di qualcosa che ha visto solo lei. Il cielo è dei violenti perché non fingono. Piccola, una massa di cappelli, troppi per un corpo fragile davanti alla cruda vista del mondo. Capisca chi può.

 

 

Alla festa di premiazione dopo aver danzato un assorto sirtaki mentre scrosciavano gli applausi, ha poi detto nel silenzio generale: “Come Socrate, mi sono fatto bello per il bello nel bello in questa vita, ma tutto al femminile.”


 

9 Comments

  1. Guido Mura
    Gen 29, 2012

    E’ vero: ci sono suicidi invisibili, gente che non lascia traccia, che fa finta di vivere. E questo dovrebbe essere il popolo sovrano che dovrebbe partecipare alla vita democratica? Questo è il popolo che delega il potere ai più bellicosi, ai più furbi, ai più violenti, e che è ben contento di farlo, perché è nella sua natura, perché non si può obbligare nessuno ad esercitare un diritto, se non lo desidera.

  2. mario passero
    Feb 2, 2012

    Ciao. Avevo già commentato su splinder ( chiuso ). Non ricordo parola per parola cosa scrissi ma il senso lo ripeto: tutto è polemos, guerra.
    Scorrendo velocissime le cose, dice Cratilo a Eraclito, non ci si bagna mai i piedi due volte nel fiume ma nemmeno una sola volta ( Aristotele, Metafisica ) e così deboli e forti fluiscono in un mondo di cose che si sovrappongono: posta l’una, l’altra viene violentemente tolta.
    E’ polemos, è guerra, è violenta sucessione.
    I cieli dicevo lasciali ai passeri ( non ricordo chi lo disse ) però ogni cielo ( orizzonte in cui appare l’esistere ) fa ridere. Solo io vedo quel che vedo.
    Tutto il resto è un cane che abbaia a chi non conosce.
    Mario E. Passero

  3. Samuela S.
    Feb 3, 2012

    Invece parlo di cielo perchè chi conosce O’Connor sa che occorre parlare di cielo! Il cielo cattolico! Il risarcimento dalle fatiche terrene, l’aldilà, il giudizio supremo positivo, il paradiso, in poche parole tutto questo è dei violenti (non dei malvagi, attenzione).

    Gli altri vivacchiano e a nessuno di loro importa. Neanche a Dio piacciono.

  4. Samuela S.
    Feb 3, 2012

    Guido, quel passo è il più facile e condivisibile. Il resto è la teoria nuova! E sono convinta che se chiedessi ad un teologo, ad un uomo sveglio e libero, uno studioso di santità, che ha letto le vite di Sant’Agostino e di Padre Pio, approverebbe la mia teoria, mi darebbe ragione.

  5. luccardin
    Feb 4, 2012

    Il cielo è degli angeli,di chi sa guardare con l’animo dentro di se e aspetta che il temporale passi.La violenza è nella natura,nell’uomo è il sopruso verso i deboli,la conoscenza di se stesso che consuma la morte del suo vivere.nicolò

  6. Samuela S.
    Feb 5, 2012

    è giusto Nicolò, è giusto non tanto quel che dici, ma che tu lo dica, la coerenza è stile, in fondo. io penso che un carattere forte non porta (necessariamente) alla santità, ma la santità è di chi ha un animo violento.

    [facebook]

  7. mario passero
    Feb 6, 2012

    Precisazione pseudo erudita:

    ” I cieli abbandoniamoli
    agli angeli e ai passeri”

    sono di Heinrich Heine, Germania, cap. I .

    Mario E. Passero

  8. Nome
    Feb 6, 2012

    Samuela tra di noi c’è un modo di pensare opposto ,cerco di non guardare la realtà che mi tronca i sogni,il mio parlare d’amore,ma non posso che rimanere nelle mie verità; e riconoscere che quel che dici è vero: nell’uomo c’è violenza,come nei santi l’amore diventa violento nel suo grido pur di non morire.Io preferisco essere un angelo e vivere nei miei cieli,anche un bacio d’amore può essere violento e sanguinare di piacere,nessuno può sfuggire da quel che siamo.Nicolò

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    Nov 17, 2018

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