TUTTO SU MIA MADRE Dire, Fare, Baciare, Lettera e Sentimento.

T

Chi conosce la propria madre senza idilliaci stereotipi?

Ci sono poche persone a cui devo la vita, non sono degli eroi, passavano di lì, ma devo a loro se sono qui a scrivervi. Una è la Francesca, l’altro il fidanzato dell’Amneris e un altro è Flavio. Ognuno è stato al posto e al momento giusto per il mio giro vita. Non lo sanno neanche .

La Francesca è mia madre. Mia madre è un organismo presente-assente in questa vita, distratta, dannata e depressa. Se hai mal di testa, ragazzo, pensi solo a quello, sei incosciente, non puoi mettere attenzione su altro. Lei ha avuto per novant’anni mal di testa.

E’ anziana ormai, è degli anni in cui le donne partorivano sotto i cavoli per non rovinare le favole.

Ed è futilissima, come me: non parliamo di Dio, ma di che segno è. Lei conosce la mia infanzia, ma anch’io la sua: dalla parte soggettiva, gare di morsi e rimorsi. E credetemi è la cosa più frivola che ci sia parlare di ricordi.

Ha provato a fare quella normale: essere nel club del Lion’s, essere tutte le sere in pappatoie più strane, massaggi, messaggi, menaggi con amiche a parlare della colf, fare yoga e yogurt, la Mercedes da lavare, gli anniversari, a darmi consigli come una vera madre… Infatti un giorno mi disse: Samuela impara a guardarti attorno, ma non lo fare mentre sei in moto, prima di un dosso, durante un sorpasso, a fari spenti, ubriaca.

Poiché iperuditiva, è inascoltante, per difesa. Muore di noia, che è fame, io la sazio di emozioni.

Non è una madre che mi aspetta, come fanno le mamme brave che sembrano quei quasi-babbi quando gli annunciano il colore e la lista dei nuovi venuti in famiglia. Quando arrivo non mi saluta neanche. Soffre assaporando il dolore a cucchiaini, soffre come scorre il Po nella Padania: maestosamente.

Le piace il mio corpo e guardare la mia faccia. Se riesco a farle alzare gli occhi, se incrocia le mie finestrine verdi, ecco allora le viene subito la felicità. Se li abbassa, come fanno tutti i depressi, si incupisce subito, soffoca subito di noia come un piccino a cui stringono la gola.

Le alzo allora il viso e gli do i miei occhi, la costringo a guardarmi, le viene da sorridere e poi da ridere, se insisto a esserci, alla fine sta bene. Le piace guardarmi. Sono una faccia che non si stanca mai di guardare. E, credetemi, non ho un viso candido e vergineo e non ho quel miracoloso sorriso, puro e pudico, delle madonne del Rinascimento. Ma sono piena di espressioni. Si squarcia un sorriso, gli pare all’improvviso che la vita sia bella, cambia umore. Per il tempo in cui ci sono.

Da bambina mi baciava sempre, anche le mani. E si divertiva a vestirmi da anormale e a farmi strani tagli di capelli, in cui apparivo spaisa nelle foto.

Non mi interiorizza, perché è senza energie, indebolita, consumata, distratta dal suo spleen. Lo sconforto, il malumore, il magone degli artisti se non lo incanali, se non lo sfrutti è infruttabile e infruttuoso.

Siamo diverse, lei è grossa e pomposa, era molto bella, felliniana, più avvenente che attraente e io no, io sono flessibile e sembro indifesa.

Mia madre è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia. Se è priva di dolore, passa alla noia. Due forze in direzioni opposte. Non ha altro. Perché non sa cambiare il corso della vita. E non ha un problema. Non solo, penso che non abbia mai avuto un problema. I problemi sono tutti dentro di lei. La sua vita è talmente tragica, da essere comica. 

La studio bene perché studio me stessa, siamo uguali. Ci separa solo la consapevolezza, ma allo stato grezzo siamo monozigotiche. Con lei vedo come arriverò, se non farò nulla. E’ un avvertimento. La sua memoria, per esempio, perde su ciò che acquista di nuovo. Io sono ancora in attivo. Faccio i confronti.

Lei non sa che forze porti dentro perché non le ha mai sperimentate. Io sì. Fino al primo fondo. E ho scoperto che, come le galassie, ce ne sono una dentro l’ altra.

E’ innamorata dall’amore di coppia, perché è l’unica realtà che la salvi dalla noia, più temuta del dolore. Questo amore stupido che non è altro che un frutto di un piano del genio della specie, da ammirare nelle sue evoluzioni, questo amore che viene enfatizzato da tutte le donne romantiche, che serve solo a mantenere vivo il desiderio, che fa illudere anche allo stalliere di essere a livelli trascendentali, sopra alla mediocrità della terra, al di sopra di se stesso, che dà all’utile desiderio di sesso una patina di metafisico, che sembra poetico anche all’uomo più prosaico, questo amore è la sua bella, lunga, incessante fregatura. Alla natura interessa la nostra sopravvivenza come specie non che sia giusto, la passione serve per farci fare grandi imprese, ma quella amorosa serve solo a riprodurci. E’ triste, ma è così. Solo alla fine della vita capiamo che valore hanno avuto le nostre azioni.

Odia la parola democrazia perché l’intelligenza non è una dote estensiva, ma intensiva: un solo individuo può tranquillamente essere più Grande di milioni di individui, milioni di imbecilli non fanno una persona intelligente, dice.

Ma io, più felice di lei e quindi più tollerante, ho notato che molti non pensano, ma vedono molto. Come certi contadini saggi e noi in fondo siamo più simili a loro.

Tre quarti dell’umanità pensa solo a mangiare, bere e accoppiarsi, giusto? L’altro quarto pensa alla religione o alla scienza o all’arte, ri-giusto? I primi odiano, i secondi disprezzano.

Noi due non disprezziamo mai, odiamo per qualche ora.

Non mi ha mai picchiato, ma ha lampi di odio fortissimo. E allora chiama tutti i parenti e li usa come bastoni contro di me. Me li aizza contro. Ma è come un assassino che muore prima della sua vittima.

E’ così l’amore, amici: io sono quella che la salva e quindi anche la sua carceriera: non può non avere voglia di “farmi fuori” ogni tanto, come tante mamme che uccidono. Detesto che arrivino gente senza nessuna capacità psicologica, ma ha ragione: deve avere l’illusione di avere qualcun altro oltre me che la salvi.

Arrivano, quindi, i parenti, decoloriti dalla varechina, mi chicchiricheggiano sopra la testa, li lascio fare e poi per dieci anni scompaiono. Ogni volta che li vedo, sembra di vedere quei mobili di “legno d’albero”, fatti diventare “antichi autentici”, disseppelliti, onde farsi tarlare e riempire di vermi.

Siamo fisiche, sempre a spalpugnarci le guance, le mani, balliamo il liscio col volume a manetta. Certe volte mi cade mentre le faccio fare il tango col caschè, perché grossa, è difficile da manovrare.

Un giorno la Franca mi ha schiaffeggiato su una guancia, sull’altra, e poi ancora, ancora, gli lasciavo la faccia per potersi sfogare. Ha continuato, tanti schiaffi, tanti, tanti, tanti… dopo un paio di ore mi parlava contenta. Sono l’unica che lascia fare tutto quello che vuole alla sua anima malata.

La frase che usiamo di più è quella tremenda di chi sta morendo: ce la caveremo, vedrai. Se ci pensate, è la frase più disperata nel linguaggio umano, sì, è una frase furibonda. La uso molto con la Franca. E lei con me. Perché ci esce, perché stiamo scalando una montagna difficile, una montagna dentro di noi, contro di noi. Del mondo fuori non c’è mai problema. Il vero danno siamo noi, per noi. Quella frase sostituisce un’altra tremenda che non sapremo mai dire: non abbandonarmi.

Il verbo cavare lo uso anche con l’Enorme: “Tu te la sei cavata per un pelo, Cicciotti, ma non diventerai mai centenario, premio Nobel, un astronauta, un campione italiano dei millecinquecento metri. Suppongo che con cure adeguate e una rieducazione progressiva qualche passo in avanti lo puoi fare, ma rimarrai sempre un derelitto.”

Pensate, un bravo venditore senza l’uso della parola, solo con l’abuso. “Mentre tu, un uomo con la esse maiuscola, affondi nella melma e nella follia, la vita intorno a te continua: si mungono le vacche, si mangia in famiglia, si canta a squarciagola.”

Una volta non sapevo dove andare a dormire, ho suonato alla sua porta e mi ha aperto vestito da perfetto Adamo. Il Pupo aveva al vento i prosciutti, le tettone e la pancia in dolce attesa fino a quel luogo dove tante signore si sono date convegno. Le donne in genere hanno collere niagaresche se l’uomo non è un principino fine fine ‘800, se uno, cioè, si naturalizza troppo, se è troppo bestia, se si pulisce la bocca con l’avambraccio, se si gratta, se rutta, per i suoi amori ancillari, se è nudo, se fa porcate, se si fuma una sigaretta, poi due, poi tre, poi quattromila in un’ora, se è affetto da piposi compulsiva (incontinenza), per le aerofagie, gli scaccolamenti… io no, me ne frego, ho una serafica serenità.

Ho dato un veloce colpo d’occhio sulle frane, sulle cascate e sugli afflosciamenti, sui peli e sui nei, domandandomi come facciano le donne a subirlo se non sono costrette da nessun vincolo, poi gli ho chiesto: “Posso dormire qui? Posso non essere molestata? E posso andarmene quando voglio?” tre domande in una volta è una sfacchinata per lui. Gli sembra di essere chiamato a pronunciarsi sui Referendum. E sono stata in ascolto della risposta come un cervo che abbia perso il pullman del branco e ascolti il fruscio della foresta.

“Certo, madame!” ha detto Ben-Hur con un largo gesto da seminatore. Se fra un anno e un giorno non fossi più riapparsa, qualcuno avrebbe inviato una spedizione di soccorso subito da lui: ha la faccia del maniaco omicida. Non ha chiuso neanche la porta a chiave, perché sapeva che il pericolo si trovava ormai all’interno.

Ho steso il tappetino del bagno per terra con sopra il suo piumino, inutile per uno che ce l’ha incorporato. Non mancava nulla per il comfort, dopo due minuti vagivo, ero in una culla, nonostante il cembalo e il clavincembalo, il vibrafono, l’idromassaggio, il flauto di traverso, il flauto magico, la chitarra elettrica, la sedia elettrica, la tromba delle scale, il trombone, le nacchere, incluso il fiato del bue e dell’asinello dello Stracciamutande. I miei sogni sono scritti un po’ da Dante e un po’ da Hitchcok.

Come tutte le suocere di figlie, mia madre ama tutti i miei amici, tutti, così mostruosi, così inappropriati, quelli che non sai se sono uomini o donne, quelli carnevaleschi, uno, addirittura, era vergine.

Vide il Ciccione con i baffi in linea orizzontale, sottili come una bacchettina, le mandibole volitive, due rudi ordigni a guisa di spalle, la forte testa tempestata dall’acne, una montagna che cammina, con le braccia ad arco, senza evitare gli oggetti, come tutti quelli consci della propria forza. Lo vide avanzare solo in linea retta nella sua sala, come uno Svizzero nella navata principale di una chiesa in un giorno di Messa cantata. Lo sentii dire: “Buon giorno Signora, il mio vecchio è crepato tagliando una quercia, l’albero non è caduto dalla parte giusta e se lo è preso sul torace. In via definitiva. Aveva una nidiata di eredi, anche me. Io sono portato agli studi classici, tant’è che la prima parola che ho pronunciato è stata antropomorfismo. Ho dovuto alzare subito il PIL grazie alla sua bambina, con cui non mi dispiacerebbe convolare.“ E poi, girato a me: “Tu, piccola grande donna sul cui volto si legge delicatezza e inteligezza, poi nient’altro perché altrimenti avresti la faccia tutta scarabocchiata, capistimi e facestimi Uomo d’affari, grazie tresor!”. Mia madre non si scompose.

Fratelli, qualsiasi altra brava donna non si sarebbe raccapezzolata, tutte le altre gli avrebbero gridato: “Ma tu sei pazzo, tu prendi Peter Pan per focaccia! Sono sola e per giunta male accompagnata, ma se tu sposassi mia figlia ti darei fuoco! A te e a tutta la gente che ti conosce! Anche soltanto di vista!”. Invece la Francesca gli ha solo domandato cosa gli impediva di sposarmi, eravamo una così gran bella coppia.

Io sdogano la sua voglia di vivere.

 

 

MARIO PASSERO: “La madre è l’assenza, così come il padre è la presenza.
Il padre è la presenza come ciò che dà regola, che dà ordine, la legge sociale, la mente calcolatrice e razionale, ciò che è qui, l’utile e il vittorioso, ma è il nulla d’essere, cioè il dover essere, l’ovvio ed evidente, cioè l’indifferenza.
La madre è l’assenza come ciò che è l’ideale d’essere, la fonte e lo stacco dall’origine, quella perfezione che è irraggiungibile, ciò che è abisso e indicibile, cioè l’assenza della indifferenza.”

Pochi amano parlare della propria madre, perchè, come dice Mario, non c’è mai stata.

C’è solo sempre la DOPAMINA (quando desideriamo qualcosa, persona o oggetto che sia, il nostro cervello rilascia dopamina: essa crea una sensazione di carenza, come se non potessimo fare a meno di possedere ciò che vogliamo) e non c’è mai la SEROTONINA (quando raggiungiamo l’obiettivo desiderato). La madre è un desiderio insoddisfatto, una frustrazione ininterrotta, è dolore guardarla, per questo evitiamo quella vera e ci si consola con un’immagine sacra.

14 Comments

  1. mario e. passero
    Gen 6, 2012

    Pensavi che non ti avrei trovato in questo mare?
    come hai fatto a costruire questo bel sito?
    è gratis? hai pagato?
    è elegantissimo!!!
    sii precisa e dimmi tutto!
    tuo mariaccio

  2. Guido Mura
    Gen 12, 2012

    Finalmente su wordpress! anche se il mio bloggettino è gratis e il tuo è (ovviamente) per vip, con tanto di tappezzeria, mentre il mio sa di acrilico passato col pennello. Ma l’importante è che serva per comunicare, visto che non riesco a farne a meno e che non mi piace stare attaccato a un telefonino,
    Arrivederci

  3. nicolò
    Gen 13, 2012

    Una vela può scomparire all’orizzonte,ma di ogni amore s’attende il ritorno.

    Più che di parole
    vivo di sensazioni
    di respiri
    di tante luci
    in cui riconosco l’amore
    basta una stella
    un sorriso
    per capire che non sono solo.

    Siamo come i re magi seguiamo la cometa, cerchiamo noi stessi
    nella luce di tante verità.Ora che sei comparsa ai nostri desideri dove ci condurrai con la tua scia luminosa.
    Un bacio con l’amore che conosci Nicolò

  4. Samuela S.
    Gen 14, 2012

    Guido, è così perchè ho delegato. Che bello rivederti!

  5. Samuela S.
    Gen 14, 2012

    Nicolò, ero perduta senza te.

  6. Giulio
    Gen 16, 2012

    Che piacere vedere che ci stiamo ritrovando tutti! Spero che l’eleganza sinuosa di questo nuovo layout non La porti a smussare troppo anche le parole. Bello trovare qui una tua poesia, Nicolò, leggere che Mario Ettore Passero e Guido Mura sanno dove siamo.
    E’ il primo commento che lascio collaudando il mio Gravatar che dovrebbe condurre al mio nuovo blog diametralmente opposto a questo; se funziona, non dovrei apparire anonimo. Un caldo abbraccio.

  7. Giulio
    Gen 16, 2012

    (Però questo avatar non va bene. Non si capisce nemmeno cosa sia)

  8. Giulio
    Gen 16, 2012

    Non funziona il link. Non so perché, chiedo scusa. Sarò rudimentale:

    odinokmouse.wordpress.com

  9. Samuela S.
    Gen 18, 2012

    Giulio, forse l’avatar… bel blog, hai una creatività lunatica e stralunata.

  10. Giulio
    Gen 18, 2012

    Grazie, ho migliorato l’avatar che è rimasto stralunato ma almeno adesso ha un senso. Il mio blog ha una struttura diversa da quelli tradizionali che sto provvisoriamente collaudando e qui faccio alcune considerazioni al riguardo in un commento:
    http://odinokmouse.wordpress.com/2012/01/08/39/
    Spero di leggere presto un Suo nuovo post.

  11. tanie przeprowadzki
    Ago 17, 2017

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